Una vita avventurosa
Da tempo pensavo di raccontare le vicissitudini occorse a un mio compaesano, Marino Lorenzi, nel corso della sua vita; vicende che ormai pochi conoscono e che definirei se non incredibili, sicuramente suggestive. Purtroppo i ricordi di quelli che, come me, l’hanno conosciuto sono frammentari e perciò alcune notizie sono qui ricostruite in maniera sommaria e incompleta, anche perché non è stato possibile reperire alcuna documentazione presso archivi difficilmente consultabili, come quelli di Vienna e Buenos Aires. Mi sembrano, comunque, ugualmente, molto interessanti.
Marino Lorenzi nasce a Favrio (a Stumiaga, secondo i documenti, perché a quei tempi il Comune era lì) l’11 luglio 1897; a Favrio frequenta la scuola popolare, così allora si chiamava, con ottimo profitto. Ama leggere, è curioso e intraprendente.
Poco dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il 13 luglio 1915, appena compiuti diciott’anni, viene chiamato alle armi nell’esercito austro-ungarico e destinato quasi subito con il suo reggimento in Galizia. Qui, dopo pochi mesi, è fatto prigioniero dai soldati russi.
Purtroppo non si conosce il posto preciso dove trascorre la prigionia, probabilmente in Crimea, a differenza della maggior parte
dei trentini che finirono, invece, in Siberia. Ricordava di aver lavorato in una fattoria dispersa in mezzo alla campagna dove aveva imparato nuove usanze, trattato dai proprietari come un figlio, senza che nessuno lo controllasse.
Finita la guerra, nel 1919 inizia il suo travagliato rientro: a piedi, in nave e in treno. Dopo aver raggiunto con chissà quali peripezie
la costa del Mar Nero trova il modo di imbarcarsi per l’Italia; sbarca a Napoli dove riesce a salire su un treno-merci e, a tappe, raggiunge finalmente Trento nell’autunno dello stesso anno. Di queste traversie gli piaceva ricordare un fatto singolare: quando era arrivato alla
stazione di Trento tutti lo osservavano con meraviglia perché era vestito da russo.
Tornato finalmente a casa, lavora in famiglia facendo il contadino; ma vuole migliorare e nel 1932 si iscrive al corso di agronomia presso l’Istituto Agrario di S. Michele all’ Adige. È un appassionato frutticoltore ed è proprio lui a introdurre in paese le prime piante da frutto di
qualità pregiata: mele, pere, ciliege e prugne. Ne rimane qualcuna ancor oggi.
In quegli anni, a seguito della Grande Depressione dopo il famoso crollo di Wall Street, la crisi economica era, anche nei nostri paesi, tremenda: era quasi impossibile trovare lavoro e non c’erano soldi. A Marino non manca lo spirito di iniziativa; ecco quindi che il 2 novembre 1936, assieme al compaesano Andrea Franceschi, si arruola volontario per l’Africa Orientale, con ferma di due anni, come “camicia nera’’. Viene quindi imbarcato a Napoli il 22 dicembre dello stesso anno. Arrivato a Massaua, l’1 gennaio del 1937, viene destinato all’Infermeria presidiaria di Sacotè in Eritrea. Rientra a Napoli il 3 febbraio 1939 e viene collocato in congedo il 4 aprile dello stesso anno. Di quel periodo non raccontava molto; diceva che stavano bene e che erano pagati profumatamente. In paese si ferma per un breve periodo: infatti alla fine del 1941 parte per la Germania, dove lavora nell’infermeria del Gemeinschaftlager di Baumshulenweg a Berlino.
Rientra alla fine della guerra. Una piccola annotazione: a Favrio si ricorda che si presentò al Brennero con due cavalli di provenienza non nota che gli furono comunque sequestrati.
In paese rimane poco. Parte subito per l’Argentina (purtroppo non sono riuscito a recuperare le date esatte) dove trova lavoro, forse
come cuoco, all’ospedale di Lanus, alla periferia di Buenos Aires. Quando negli anni Sessanta una grave crisi economica colpisce anche
quella nazione,si vede costretto a rientrare in Italia. Di quegli anni non parlava volentieri e quindi se ne hanno pochissime notizie. Di sicuro si sa solo che dalla vendita della casa che aveva comprato in Argentina aveva ricavato, prima di partire, a causa del cambio ormai
molto sfavorevole, solo poche migliaia di lire.
Ho conosciuto Marino quando è tornato dall’Argentina e ho potuto frequentarlo per pochi anni perché, negli anni Settanta, mi sono trasferito, per motivi di lavoro. Ricordo che mi ha insegnato a potare le piante da frutto e che mi dava indicazioni sui trattamenti antiparassitari da effettuare. Con i pochi risparmi dell’Argentina si era comperato una motocicletta che a noi giovanotti sembrava assolutamente straordinaria; non ne ricordo la marca, ma si chiamava “Delfino” ed era simile alle Harley Davidson che vanno tanto di moda adesso. Il mio amico Carlo, che era suo nipote, ogni tanto gliela rubava e noi due scorrazzavamo per i paesi della valle sentendoci
dei «padreterni».
Marino era anche un «compagnone» e quelle poche volte che andavamo a cena tra amici fuori paese si aggregava al gruppo e teneva allegri tutti con le sue barzellette e i suoi aneddoti.
L’ho incontrato, per l’ultima volta nel 1972, in una casa di riposo di Villazzano.
Marino Lorenzi è morto a Dro il 30 marzo 1980.
Vedere anche l’articolo: Una storia di emigrante, Giovanni Franceschi