Ricordi di scuola
Da tempo pensavo di scrivere questi ricordi, i più vivi della mia fanciulezza, ed è una fortuna che ci sia a disposizione il notiziario del Comune sul quale raccontarli. Le nuove generazioni diranno senz’altro che si tratta di cose incredibili, che si parla di medioevo; anche i miei figli e mia moglie, che è vissuta in una realtà diversa, mi ascoltano con meraviglia; comunque io le racconto perché si tratta delle testimonianze di un’epoca, e neanche troppo lontana.
Quelli della mia età, se non se ne sono dimenticati, me ne devono dare atto. Sono nato a Favrio nel 1944 e, come tutti, sarei dovuto andare a scuola, a sei anni, nel 1950. In realtà non è successo così perché mia madre, che era la maestra e che non sapeva dove mettermi, mi ha fatto andare a scuola a cinque anni: per dire la verità a Fiavé c’ era anche l’asilo ed una anziana signorina di Favrio, la Dosolina , accompagnava, a piedi, quei quattro o cinque bambini che lo frequentavano e nel pomeriggio andava a riprenderli; all’ asilo c’era anche una santa donna, suor Emiliana, che trattava benissimo i bambini…, però, probabilmente, non era l’ambiente giusto per me: infatti sono scappato e tornato a Favrio già dal primo giorno e così ho continuato a fare per un paio di volte alla settimana. Ecco perché sono andato a scuola a cinque anni.
Ma torniamo a parlare della scuola. A Favrio, come peraltro a Stumiaga e a Ballino, c’era una pluriclasse. In una sola aula erano concentrati tutti gli alunni, dalla prima alla quinta, e c’era un’unica maestra. Il metodo di insegnamento era un po’ particolare di tipo “aperto”. Ovviamente i vari gruppi-classe svolgevano attività diverse, ma esistevano anche lezioni comuni organizzate in maniera che tutti potessero seguirle con profitto, dai piccoli di prima ai grandi (spesso quattordicenni). Mi sembra che la pedagogia più avanzata sostenga che si tratta del tipo di insegnamento più moderno : posso peraltro garantire che, fatte le debite proporzioni. ho imparato di più nei cinque anni di pluriclasse che in tutti gli altri dei miei studi e non solo perché la mente era fresca. Le consuetudini più singolari che a quei tempi caratterizzavano la giornata scolastica, quantomeno a Favrio, erano altre. Alla mattina alle Otto, quando iniziavano le lezioni, tutti gli alunni erano in classe; la maestra era sulla cattedra ed il capoclasse sulla porta diceva a gran voce: “Attenti!” (e tutta la classe scattava sull’attenti) “ Salutate con garbo la signora maestra “, e la classe in coro: ” Buongiorno, signora maestra “. La maestra.” Buongiorno, ragazzi “; il capoclasse: ” Riposo! “; la maestra: ” Seduti e mani sul banco “. Quello delle mani sul banco era un rito che terrorizzava un po’ tutti perché chi non aveva le mani pulite doveva andare a lavarsele alla fontana tra i lazzi dei compagni.
Ai criteri di insegnamento ho già accennato. Oltre alla lettura e alla scrittura venivano trattati un po’ tutti gli argomenti: fisica, biologia, matematica, storia, geografia (con particolare attenzione agli aspetti del territorio), e anche musica. Una delle attività più interessanti era comunque la ginnastica; poiché la palestra più vicina era probabilmente a Riva del Garda e, tra l’altro, far fare ginnastica la gente che era ben al di sotto del pesoforma e faceva chilometri e chilometri al giorno a piedi sarebbe stato quasi un contro-senso, facevamo addestramento formale: riposo, attenti, dietro front, avanti marc ecc.Quelli della mia generazione che sono andati a fare il militare avrebbero potuto tranquillamente fare gli istruttori.
Le fanciulle invece facevano cose più raffinate (movimenti col cerchio e danza ritmica). A quei tempi, oltre ad essere magri, eravamo anche carenti di vitamine. Ecco perché l’amministrazione scolastica ci forniva decine di bottiglioni di olio di fegato di merluzzo: credo si tratti di quanto meglio ci sia per supplire alla mancanza di vitamina A, però il sapore…. è una cosa indescrivibile (bisognerebbe provarlo) e noi eravamo costretti a sorbirne un bel cucchiaione al giorno, dopo la ricreazione.
Un’altra cosa di cui eravamo carenti era lo iodio. Ecco perché era necessario che andassimo al mare. Quindi a sei ed a sette anni sono stato spedito in colonia, in Luglio, il primo anno ad Igea Marina ed il secondo a Calambrone. Si trattava di casermoni dove c’erano delle camerate da 50-60 persone. Probabilmente lo iodio aveva un effetto strano sull’apparato urinario di molti di noi che venivamo dalla montagna; sta di fatto che parecchi se la facevano addosso durante la notte, gli stessi venivano man mano selezionati e tutti concentrati in una camerata che veniva chiamata “dei pompieri” e nella quale regnava un odore indescrivibile. lo, comunque, pur non essendo un pompiere, il primo anno ha preso il morbillo, il secondo la scarlattina. Il terzo anno mia mamma voleva ancora mandarmi in colonia, mio padre però ha detto: “ St’an sarà meio che’l tigninte a casa ” e dopo di allora per un pezzo non sono più andato al mare.
Ma torniamo a parlare delle mie vicissitudini scolastiche: la maestra aveva a disposizione un bastone di nocciolo lungo circa due metri e mezzo, si chiamava indice e le sue funzioni originarie erano quelle di indicare delle cose sulla lavagna o sulle carte geografiche; in realtà, a Favrio, veniva spesso usato per vibrare delle energiche bacchettate sulla testa degli scolari. lì principale bersaglio ero io, anche perché ero il figlio della maestra e nessuno avrebbe protestato. Per fortuna ad un certo punto è arrivato da Fiavè Beniamino Carli ; suo padre fece subito l’autorizzazione scritta alla maestra di usare le maniere emergiche che e cosi, quantomeno, le ” legnate ” venivano divise equamente in due.
A Favrio ho frequentato la prima e la seconda elementare, la terza, invece, a Fiavé, probabilmente perché ero diventato insopportabile. Mi facevo i miei quattro viaggi a piedi senza protestare, spesso arrivavo in ritardo, perché mi attardavo lungo la strada a fare le cose più strane, suscitando le ire della maestra Pia . Di quell’anno mi ricordo distintamente che ho passato parecchio tempo fuori dalla porta, eravamo all’oratorio, e quasi sempre in compagnia di Giorgio Zambotti . Per frequentare la quarta, chiaramente anche quelli di Fiavè si volevano liberare di me, mi hanno rimandato a Favrio. Per fortuna mia mamma era in maternità e la supplente era una giovane maestrina. Cesarina Bronzini , buona come il pane e per quell’anno tutto è andato liscio. Le cose sono precipitate in quello successivo. E ‘tornata mia mamma e per tutto il periodo scolastico ne sono successe di tutti i Colori. Alla fine sono stato bocciato perché considerato immaturo. Per ripetere la quinta mi hanno rispedito a Fiavè. In realtà da quell’anno le quinte di Favrio e Stumiaga vennero spostate a Fiavè, perciò con me faceva il tragitto anche Dolores Cherotti . Eravamo in una grande aula all’ ultimo piano dell’attuale asilo; di fianco alla cattedra, dove sedeva il maestro Gino Zanini, c’era la lavagna; dietro la lavagna c’era il banco destinato a quelli che erano in castigo: in quel banco ho passato giornate intere. Comunque, alla fine dell’anno sono stato promosso, sono andato a Tione per sostenere gli esami di ammissione alla scuola media, che ho superato brillantemente (tra il resto, l’ultimo giorno ho perso la corriera e sono tornato a piedi) ed in autunno sono partito per il collegio.
Alla fine di questi ricordi voglio rivolgere un pensiero di riconoscenza a mia madre, la maestra Zita Pederzolli , ed un ringraziamento ai miei maestri, Pia Calza e Gino Zanini , per quello che mi hanno insegnato, e, soprattutto, per avermi sopportato.
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